prof. Nunzio Brugaletta

atapSO

EnneBi – Computer Science
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Le interfacce utente

Il problema dell'interfacciamento con un elaboratore è stato sempre uno dei punti su cui si sono concentrati gli sforzi dei ricercatori. La forma più classica di shell è la riga di comando: la shell, per mezzo di un apposita stringa di invito (il prompt) avvisa che è pronta a ricevere una riga di comando da tastiera. La shell può fornire all'utente, oltre al semplice interprete della linea di comando, delle estensioni che la portano ad avere le caratteristiche di un linguaggio di programmazione con la possibilità di scrivere dei veri e propri programmi (gli script di shell), per esempio per automatizzare operazioni ripetitive che, una volta lanciati, vengono interpretati dalla shell in modalità batch: i comandi compresi nello script sono avviati in sequenza senza intervento dell'operatore.

La diffusione sempre maggiore dei computer allarga la base dei suoi utilizzatori. Se la shell a riga di comando va senz'altro bene per l'amministratore del sistema (la persona che si occupa della manutenzione, in tutte le sue forme, del sistema stesso) e anzi permette di eseguire le operazioni necessarie in modo efficiente e rapido (si può affermare che è proprio questo lo scopo della shell), tuttavia richiede conoscenze del sistema non banali. Un utente che abbia la necessità di usare il computer, per esempio, per l'elaborazione di testi, è interessato a rendersi produttivo nel più breve tempo possibile e, d'altra parte, la presenza di sole shell a caratteri escluderebbe la possibilità di utilizzo del computer da parte di una ampia fascia di utenti. È questo il motivo che ha spinto i ricercatori a progettare shell che, almeno, consentissero di effettuare le operazioni minime in modo quanto più semplice possibile, al limite senza richiedere alcuna conoscenza specifica da parte dell'utente. Sono quelle shell che oggi vengono chiamate sistemi desktop perché il principio su cui si basano è quello della cosiddetta metafora della scrivania: l'obiettivo è quello di mettere l'utente davanti ad un ambiente familiare e intuitivo utilizzando sistemi che fanno uso di rappresentazioni grafiche, icone per rappresentare applicativi e che permettano di interagire con esse per mezzo di un uso massiccio di periferiche di puntamento (per esempio il mouse).

Un tempo l'interfaccia utente era l'ultima parte del sistema a essere progettata. Oggi è la prima. Ci si è resi conto che essa è di primaria importanza perché, tanto per i principianti quanto per i professionisti, ciò che si presenta ai sensi di una persona è il calcolatore di quella persona. L'illusione utente, così come i miei colleghi ed io la battezzammo al Palo Alto Research Center della Xerox, è il mito semplificato che ognuno costruisce per cercare di spiegare le azioni del sistema e ciò che dovrebbe fare poi. Molti dei princìpi e dei dispositivi sviluppati per migliorare quell'illusione sono diventati un luogo comune della progettazione del software. Forse il principio più importante è WYSIWYG (What You See Is What You Get): l'immagine sullo schermo è sempre una fedele rappresentazione dell'illusione dell'utente. La manipolazione dell'immagine in un certo modo produce immediatamente qualcosa di prevedibile sullo stato della macchina (così come l'utente immagina quello stato). (Alan Kay)

Nei laboratori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) fu implementato, per la prima volta nel 1984, X Window System, un sistema grafico per ambienti Unix. L'obiettivo era appunto quello di creare una interfaccia che rendesse più facile l'uso dei calcolatori. Ai tempi si avevano ancora display grafici monocromatici e le potenze di calcolo erano esigue. Nel 1988 nasce l'X Consortium associazione composta prevalentemente da ricercatori del MIT e nascono le prime implementazioni del sistema grafico X. Il sistema diventato standard fu chiamato X386 e veniva utilizzato sulle macchine delle aziende partner del progetto: IBM, Sun, HP.




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